Borgo di Sovereto foto Anni Sessanta del Novecento
Borgo di Sovereto foto Anni Sessanta del Novecento
Religioni

Il Borgo di Sovereto: la rievocazione storica di Vito Bernardi

Un focus sul paesaggio urbano e rurale mutato nel tempo

Manca una settimana esatta all'avvio della Festa Maggiore 2021 e il Comitato Maria SS. di Sovereto, guidato da Carmine d'Aniello, prosegue nella sua ricerca storica legata ai festeggiamenti della Madonna Nera.
La pregevole collaborazione di Vito Bernardi, componente dello stesso Comitato e studioso della storia della Puglia e di Terlizzi, questa volta offre ai lettori un interessantissimo spaccato sul borgo di Sovereto, concentrandosi sul paesaggio rurale e urbano che nel tempo si è andato consolidando sino a conoscerlo come è oggi.

Di seguito il testo completo de "Il Borgo di Sovereto. Paesaggio urbano e rurale".

«Il Borgo di Sovereto nasce grazie all'impulso dato dai vari Commendatari che hanno voluto che i terlizzesi si sentissero vicini alla Vergine e godessero dell'aria balsamica che ivi si respira.
Visitando il nostro paese l'abate Fortis in una sua lettera dell'aprile 1789 ne dà una interessante descrizione: "A circa tre miglia di distanza i cittadini delle classi inferiori hanno costruito un intero villaggio, formato da poco più di un centinaio di casette di campagna, dove si svagano e passano il tempo della buona stagione dell'anno".
Dello stesso tenore la rivista Poliorama Pittoresco con un articolo del 1839 a firma del Cav. Vincenzo Sylos : "I Terlizzesi intanto sempre divoti alla Madonna di Sovereto hanno in progresso edificato intorno alla Chiesa molte casette rurali, nel principio di pietre a secco, quindi di fabbrica a calce, le quali formano il delizioso villaggio di Sovereto, in cui essi soggiornano tutto l'ottavario antecedente alla festa, che celebrasi in ogni prima domenica di maggio".
Tra fine Settecento e primi decenni dell'Ottocento il piccolo villaggio viene investito da un processo di crescita. L'assetto urbanistico e architettonico soveretano si consolida in un periodo di congiuntura sociale ed economica favorevole per la città madre.
L'operazione del riscatto feudale, portata avanti dai terlizzesi per liberarsi dalla servitù dell'ultima feudataria Costanza Eleonora Giudice Caracciolo, fu un obiettivo politico di grande spessore che spinse il patriziato agrario e la piccola borghesia emergente formata da professionisti, agricoltori, commercianti, insomma il ceto dei nobili e il ceto dei civili, ad investire la propria ricchezza derivante dalla produzione e dagli scambi commerciali di prodotti agricoli, ormai liberi e senza ipoteche feudali, nell'edilizia.
La facies dell'antica civitas cambia volto. Oltre le antiche mura smantellate e il fossato colmato cominciano a sorgere in rapida espansione palazzi dalle eleganti connotazioni architettoniche che consentono di assicurare alla città lavoro ma anche ricchezza che piccoli borghesi e alcuni del patriziato trasferiscono nel villaggio di Sovereto dando inizio alla formazione della attuale conformazione planimetrica del borgo che si presenta con quattro zone ben distinte di cui la più ampia a levante include il Santuario.
Lo schema urbanistico è a spina di pesce contrassegnato da due complessi abitativi attraversati da un'unica strada, realizzati con una tipologia edilizia a schiera attuata su lotti di terra limitati.
La strada, con al centro una ellittica piazzetta su cui si affacciano la lussuosa villa Lamparelli con artistico cancello in ferro battuto e l'arco d'ingresso che porta nell'atrio del Santuario chiuso da antichi stabili, era ricoperta con lastre di selce di cui alcuni lacerti si possono ancora ammirare nella corte soveretana. Questa unica via di comunicazione era continuamente percorsa dai nostri contadini che si recavano a lavorare allo Spineto, alla Torre del Conte, alla Passatella o al Vico, al mattino come al tramonto.
Le abitazioni presentano un pianoterra, poche con un piano superiore, dotato di un vano principale che si affaccia al livello della strada dalla quale riceve aria e luce sufficienti.
La zona retrostante è adibita parte a giardino, ove è sempre presente l'agrumeto protetto a volte da un piccolo muro per impedire al vento freddo e secco di tramontana di farlo seccare, il fico, il melograno, la pergola ed anche il vaso di basilico o dei garofani nostrani, e parte a deposito di attrezzi agricoli e materiale vario.
L'interno presenta volte a crociera o a botte, caminetto alla monachina, pozzo per la raccolta dell'acqua piovana e cantinetta; l'esterno la terrazza (scoverto) alla quale si accede tramite una scala interna.
La mancanza d'acqua nei pozzi causata dai continui periodi siccitosi a cui è soggetta la nostra Puglia, per i residenti era l'occasione per fornirsi dell'acqua dell'ampia e profonda cisterna situata nel cortile del Santuario.
Per lo smaltimento dei rifiuti di queste abitazioni venivano create apposite fosse nelle vicine campagne ove i rifiuti fermentando si trasformavano in concime.
Le abitazioni, realizzate con pietra calcarea tipica del nostro territorio e chiamate in gergo casine o casini, venivano e vengono usate come dimore di villeggiatura. Su alcune facciate è possibile ancora ammirare iscrizioni lapidarie inneggianti al casato e alla tranquillità e amenità del luogo. La casina soveretana esternamente è imbiancata con calce bianca, l'interno con colori chiari: rosa, celestino, paglierino. Inizialmente il borgo che veniva formandosi era privo di ville signorili che in genere erano costruite nelle vicinanze della città dal patriziato agrario.
La classe piccolo borghese (amministratori, clero, mercanti, professionisti, agricoltori), cioè i benestanti del paese, non amavano vivere in sontuose ville ma amavano passare le dolci delizie della villeggiatura estiva nelle casine per non allontanarsi troppo dalla città.
La realizzazione di questo tipo di costruzione, quasi disabitata durante l'inverno, permetteva ai villeggianti di condurre una serena vita comunitaria e relazionale che aveva ed ha ancora il suo culmine specie la domenica quando dopo aver frequentato la messa nel vicino santuario del ritrovamento dell'icona della Vergine ci si intratteneva e ci si intrattiene per lo scambio di saluti e di notizie.
La sua semplicità è lontana dalla sontuosità delle ville del patriziato sparse nel territorio e dalla eleganza della ottocentesca villa Lamparelli sita nel borgo. Dai primi decenni dell'Ottocento una fiorente distesa di ulivi e mandorli che guarda verso il mare, in passato bosco erboso e ricco di querce della varietà suberosa, l'"Ulmus campestris" fa da magnifica corona al borgo soveretano.
Il documento più antico che parla del bosco di Santa Maria di Sovereto, chiamato Sovero ma anche bosco di San Marco o anche Parco Forte, è del 1183 (C.D.B.-vol.III,p.162).
Nel 1294 l'Università di Terlizzi lo acquistò e dette la possibilità ai propri cittadini di legnare e pascolare e quindi di godere degli usi civici su quelle terre in perpetuo: "Da ultimo la Università, oggi Municipio di Terlizzi, vedendo e considerando l'utile e il lustro che apportava l'Ospedale stabilito in Soverito, volle formare una sufficiente dote, e con ciò concorrere al decente mantenimento dei Cavalieri e della Religione, e non far mancare i mezzi necessari per alloggiare e somministrare il bisognevole agli ammalati e ai pellegrini. Infatti nel 1294, previo assenso e beneplacito del Sommo Pontefice S. Pio V Celestino, ottenuto con Bolla che sta inserita nell'atto di vendita, la stessa Università con pubblico istrumento comprò una pezza incolta nel territorio di Terlizzi detta di seguito bosco o Sovero di S. Maria di Severito, attaccata alla pezza di S. Lucia ed altre terre di Terlizzi, ed alla pezza trevisana, dell'estensione di vigne 680 circa e per lo prezzo di ducati 696" (De Giacò-Il Santuario di Sovereto in Terlizzi, Bari 1872, p.32).
Un cabreo del 1796 (inventario dei beni patrimoniali) riporta l'estensione del bosco del Sovero in vigne 534 di terre macchiose, ed anche quella del bosco di S. Eugenia, appartenente sempre ai Giovanniti, in vigne 615 e posto ai confini tra Terlizzi e Bitonto che l'erudito Lorenzo Giustiniani (Napoli 1761-1824) cita nel suo "Dizionario Geografico Del Regno di Napoli" e l'abate Fortis nel suo viaggio da Molfetta a Matera e Gravina, riportato dal naturalista svizzero Carl Ulysses von Salis-Marschlins (1760-1818) nell'opera "Nel Regno di Napoli".
Con la fine nel 1475 della Precettoria e dopo oltre tre secoli della Commenda, sempre alla dipendenza del Gran Priorato di Barletta, il patrimonio del complesso soveretano fu incamerato al demanio dal Regime francese con decreto del 5 novembre 1808, messo all'asta e venduto a privati.
Con istrumento del 18 gennaio 1812 e 1° giugno 1813 del notaio Emanuele Caputi di Napoli, il terlizzese Michele Lamparelli (1776-1857), medico di corte fedele ai francesi, acquistò il bosco denominato Sovero, fondi rustici e urbani e gli antichi stabili soveretani (chiesa, convento, ospedale, monastero), servendosi della mediazione di un "tale Colucci Giuseppe Antonio della Provincia di Bari" (De Ninno G., Note biografiche del Cav. Michele Lamparelli, Bari 1904).
Invece il bosco di Sant'Eugenia fu venduto ai nobili Siciliani di Giovinazzo.
Tornato nella sua amata Terlizzi, il Lamparelli, medico della Regina Carolina Annunziata, consorte di Gioacchino Murat e sorella di Napoleone, si fece "massaro" come amava dire di sé, e nella solitudine del Sovero trasformò, grazie alle sue conoscenze agronomiche e al duro e intelligente lavoro dei nostri esperti contadini, un paesaggio di rude e rara bellezza, quale era il bosco del Sovero, in mandorleti e in argentei uliveti. All'ombra della meravigliosa distesa di alberi l'archiatra terlizzese trascorse gli ultimi anni di vita».


Vito Bernardi
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