
Religioni
San Michele Arcangelo, "Il culto micaelico a Terlizzi tra fede e devozione"
La relazione di Vito Bernardi
Terlizzi - lunedì 29 settembre 2025
11.21
Di seguito un'analisi esaustiva de "Il culto micaelico a Terlizzi tra fede e devozione" a cura di Vito Bernardi, studioso della Puglia e di Terlizzi, il quale ripercorre in maniera puntuale gli aspetti salienti dello sviluppo della fede religiosa.
Chi è San Michele Arcangelo
Il nome Michele (Mi-ka-el: chi come Dio) è di origine ebraica. L'Arcangelo si presenta quale messaggero di Dio, capo delle milizie celesti, protettore del popolo di Israele, patrono della Chiesa universale. Michele è la luce che sconfigge il buio, il bene che abbatte il male, la vita che supera e vince la morte.
L'iconografia occidentale ce lo presenta vestito da guerriero con lo scudo in una mano che riporta la scritta "Quis ut Deus" (la frase pronunciata dall'Arcangelo nella lotta contro Lucifero che non riconosceva il potere di Dio) e la spada nell'altra; a volte ha la bilancia nella mano sinistra, simbolo della giustizia divina.
L'origine del culto micaelico
L'origine del culto è in Asia Minore, nella Frigia, ove avvennero la prime apparizioni. Un culto orientale antichissimo che presenta forti caratteri taumaturgici e psicagogici. Si diffuse in Occidente nel IV secolo. I santuari dedicati all'Arcangelo sorgevano in prossimità delle acque o nelle grotte.
Il culto giunse in Italia, nel Lazio sulla via Salaria, in Umbria e sul Gargano. Il Gargano diventa il centro più antico del culto riferibile alla seconda metà del V secolo. Sarà Lorenzo Maiorano, vescovo, il fondatore del culto sullo speco garganico. Il "Liber de apparitione sancti Michaelis in Monte Gargano" è l'opera che presenta i straordinari fatti miracolosi che si verificarono su quel monte.
Nell'Italia meridionale il culto si diffuse nel VII secolo con il duca longobardo Romualdo I e di sua moglie Teuderada. Figlio di Grimoaldo, duca di Benevento, e di sua moglie Ita, estese il proprio ducato nelle regioni meridionali e in particolare in Puglia con la conquista di Brindisi e di Taranto e dell'importante santuario di San Michele sul Monte Gargano. Queste conquiste permisero a Romualdo I di rafforzare tra i Longobardi del Sud il culto verso l'Arcangelo che con le sue virtù di guerriero sostituiva l'antico culto germanico del pagano dio Odino.
Il culto di San Michele a Terlizzi
Il culto di San Michele si diffonde a Terlizzi verso la fine dell'VIII secolo con Wacco, Gastaldo longobardo del Ducato di Benevento e Signore del "casale… in Trelicio" (Cronica Monasterii Cassinensis di Leone Ostiense (vescovo Cardinale di Ostia,1060 circa-1115, lib.I, cap. XIV). Con i principi e i re longobardi la grotta garganica diventò una tappa obbligata di pellegrinaggio per la cristianità medievale.
La "Via Sacra Langobardorum" nel Medioevo, legata alla presenza dei Longobardi sul Gargano, era la prosecuzione della via Francigena o Romea percorsa dai Franci, i pellegrini che venivano dall'Europa occidentale. Collegava l'Europa occidentale con la Terra Santa attraverso i porti di Brindisi e di Otranto in Puglia. Lungo questa strada sorsero monasteri, chiese dedicate all'Arcangelo e ricoveri per i pellegrini che si recavano a San Michele e in Terra Santa.
Anche i Normanni di Terlizzi contribuirono alla diffusione del culto micaelico, contribuendo con la loro opera alla costruzione di chiese intra ed extra moenia della "civitas Terlitii". Nel 1132 "Rogerius, filius et heres domini Goffridi comitis, dominator castelli Terlitii", feudatario normanno e Signore di Terlizzi, fa costruire una chiesa "quae sita est in territorio dicte civitatis(Siponti) iuxta stratam Perigrinorum", precisamente nel casale di Versentino che si trovava nelle vicinanze di Siponto sulla foce del Candelaro e la dona con le sue pertinenze al "sacerdos prior" Vito e per esso alla badia benedettina di San Leonardo (Regesto S. Leonardi Siponti).
La donazione di Rogerius viene fatta, come lo stesso afferma, "in sconto dei miei peccati e per l'anima di mio padre". Nelle pergamene del nostro archivio diocesano nei vari negozi giuridici di origine longobarda e normanna si fa esplicito riferimento alla protezione dell'Arcangelo.
Le prime chiese costruite in loco sono dedicate a San Michele. Una bolla del 1038 del vescovo di Giovinazzo Grimaldo, da cui dipendeva il "locus Terlitii", in occasione della consacrazione della prima chiesa concede al clero speciali privilegi.
Sotto il dominio del normanno conte Amico la chiesa verrà demolita e sarà costruita una seconda dedicata sempre all'Arcangelo alla quale vengono concessi rendite beneficiali e beni immobili.
Il 5 settembre del 1073 viene consacrata alla presenza di Amico da Giacinto Vescovo di Giovinazzo (Pacecco, Acta Visit.Apost.,p.77t.). La prima Chiesa Madre della "civitas Terlitii", in rapida espansione urbanistica ed edilizia, aveva numeroso clero, capitolo e dignità.
Nel 1088 sarà governata da Fuscone, primo arciprete. Nel 1235 l'arciprete Guaranno, di origine normanna, contribuisce alla costruzione della nuova "fabrica ecclesia Sancti Angeli" (la terza in ordine di tempo), grazie a lasciti, donazioni, permute di terre, la quale viene consacrata il 22 gennaio del 1258. La primitiva chiesa di S. Angelo del 1073 non fu abbattuta, ma inserita come appendice del transetto nell'area presbiteriale, a ridosso della nuova Collegiata.
L'abbattimento della Chiesa Madre gotico-romanica, divenuta Cattedrale nel 1749, venne distrutta nel 1782 per far posto all'attuale ottocentesca Cattedrale neoclassica.
La statua terlizzese di San Michele Arcangelo e l'Oratorio
La magnifica statua dell'Arcangelo Michele della antica Collegiata che troneggiava sul portale di Anseramo da Trani, opera certamente dello stesso Anseramo, prima del restauro della Pinacoteca de Napoli si poteva ammirare anche se mutila sulle pareti dell'androne della stessa; da decenni, invece, giace nascosta nel lapidarium.
Analizzando la scultura si potrebbe ipotizzare che l'Arcangelo reggesse col braccio destro la lancia spiralata che trafiggeva il drago e con il sinistro uno scudo.
Il centro propulsore del culto dei terlizzesi verso l'Arcangelo Michele, da secoli invocato come patrono della città e come compatrono della Diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, è stato l'Oratorio sotto il titolo della Sacra Famiglia, situato nella parte orientale della città e precisamente in via Massimo D'Azeglio 9.
La richiesta di un oratorio privato da erigersi presso la propria abitazione fu inoltrata il 1869 da Giovanni Tangari all'Ordinario Diocesano. La richiesta fu accolta in quanto una sufficiente dote ne garantiva l'esistenza. L'Oratorio, chiamato dal popolo "la chiesodde", è conosciuto anche come "chiesa della Natività e di San Michele".
L'Associazione di San Michele Arcangelo
A mantenere viva in città la devozione micaelica fu, verso la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, l'arcidiacono don Francesco Tangari (1909-1917). La forte devozione verso il Santo garganico spinse alcuni devoti verso la fine degli anni Quaranta del Novecento a costituire una associazione che prese il nome di "Associazione San Michele", la quale organizzava i solenni festeggiamenti dell'8 maggio e del 29 settembre, i pellegrinaggi allo speco garganico e il 6 agosto, festa del Padre Eterno o Trasfigurazione di Nostro Signore, alla chiesetta rurale dell'Eterno Padre, già di Santa Maria di Corsignano, situata nell'agro tra Giovinazzo e Terlizzi.
In questa chiesetta ha avuto origine il culto della Madonna di Corsignano, patrona della città di Giovinazzo e rappresenta, pertanto, il luogo simbolo della devozione mariana giovinazzese.
Il 23 ottobre del 1949 il Vescovo diocesano Mons. Achille Salvucci approvava lo Statuto composto da quattordici articoli il cui preambolo si riporta: "Statuto-Norme e vantaggi dell'Associazione San Michele Arcangelo – Terlizzi - Sotto lo sguardo divino dell'Onnipotente Dio e sotto la protezione dello Invitto Condottiero San Michele Arcangelo è istituita l'Associazione di San Michele Arcangelo nella Parrocchia della Cattedrale di Terlizzi" Visto-Molfetta,23/10/1949-Il Vescovo Achille Salvucci".
C'è da dire però che l'Associazione non ha avuto mai altra sede, solo ed unicamente la chiesa della Natività la cui apertura e successivo accoglimento nella stessa dell'Associazione San Michele vennero regolarmente autorizzati dalle autorità ecclesiastiche (Vescovo e Curia Vescovile di Terlizzi).
Contrasti interni ed esterni alla Associazione resero problematica la sua esistenza e causarono una dura presa di posizione da parte del Vescovo Salvucci che decise con decreto dell'11.2.1965 di scioglierla e ricostituirla presso la locale Cattedrale, affidandola alla cura pastorale dell'arciprete pro tempore.
La facciata dell'Oratorio è semplice e lineare, non presenta particolari elementi decorativi. In alto troneggia un piccolo campanile a vela. Nel timpano della portale d'ingresso dell'Oratorio si legge la seguente iscrizione in latino che richiama il promotore della sua costruzione, Giovanni Tangari: "Domus Dei G.T. A.D.1869". L'interno è a navata unica, con volte a botte e lunette laterali. L'unico altare, in pietra calcarea locale, è collocato su due larghi gradini, anch'essi di pietra locale. Maioliche bianche e gialle ottocentesche tipiche dell'artigianato locale adornano il gradino più alto. L'Oratorio conserva opere scultoree in legno e in cartapesta dei secoli XVIII e XIX, oltre a preziosi reliquiari. Sull'altare è collocato un magnifico gruppo scultoreo databile al Settecento (Madonna-San Giuseppe-Gesù Bambino) raffigurante la Sacra Famiglia. Sotto il piano mensa dell'altare una teca sarcofago conserva un Cristo morto dell'Ottocento di particolare fattura e suggestione. A destra dell'altare, in una teca di vetro, si ammira un magnifico San Michele Arcangelo. Infine, in una nicchia è posta una statua dell'Addolorata.
L'Oratorio della Sacra Famiglia rappresenta, quindi, una pagina importante della storia religiosa e civile di Terlizzi. È stato il tempio della fede semplice e genuina dei nostri padri, il centro propulsore del culto micaelico molto sentito a Terlizzi. Abbiamo il dovere di salvaguardarlo e trasmetterlo alle future generazioni.
Si coglie l'occasione per ringraziare pubblicamente l'Associazione Culturale "Pro Chiesetta della Natività" che alla fine degli anni Novanta del Novecento e inizio del nuovo millennio, guidata dal prof. Michele de Palma e dal signor Cagnetta Nicola, si accollò l'onere dell'acquisto e del restauro. Si augura che questo scrigno di fede autentica micaelica del popolo terlizzese possa diventare, con opportuna acquisizione giuridica, parte integrante della chiesa terlizzese per continuare a cantare con gli Arcangeli e gli Angeli le lodi a Dio, l'Onnipotente ed Eterno.
Le feste dell'8 maggio e del 29 settembre
Le feste dell'8 maggio e del 29 settembre sono i due momenti celebrativi degli episodi delle "apparitiones" e coincidevano con l'inizio e il termine dei grandi lavori agricoli (semina e mietitura) legati ai cicli di primavera e di autunno. Sono le feste delle compagnie, di un popolo in cammino per la espiazione dei peccati, della fede tradizionale ove folclore e spiritualità si uniscono. Il pellegrinaggio veniva fatto con i traini tirati da muli, cavalli, con le biciclette e alcuni lo facevano a piedi scalzi "nudatis pedibus".
Fino all'inizio degli anni Sessanta del Novecento veniva organizzato dalla Associazione San Michele, usando come mezzo di trasporto il traino. Generalmente si impiegavano quattro, cinque giorni per arrivare alla città garganica di Monte Sant'Angelo. Ci si fermava una giornata per compiere nella Basilica micaelica i rituali tipici dei pellegrini. Ci volevano almeno altri quattro giorni per il ritorno.
I preparativi erano curati dal priore dell'Associazione, Carmine Cipriani detto Carminuccio, che mesi prima iniziava a prendere i nominativi di coloro che erano intenzionati a recarsi a San Michele al fine di formare la compagnia che doveva essere fornita di traini efficienti e di animali in buona salute. Nel giorno della partenza veniva celebrata la messa e si amministrava ai partecipanti la estrema unzione per gli imprevisti che potevano succedere durante il viaggio che negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento poteva dirsi avventuroso a causa della presenza di strade e tratti impervi e ripidi.
Ci si metteva in cammino di buon'ora con il proprio traino, dopo aver recitato ogni partecipante delle preghiere a San Michele. La compagnia era composta da cinque a dieci traini. Giunti al Gargano prima di iniziare a salire il monte si svuotavano i carri e ognuno si caricava sulle spalle una pietra in segno di penitenza e si procedeva recitando il rosario. All'ingresso di Monte Sant'Angelo la pietra veniva lasciata cadere in quanto, idealmente, questo gesto significava che ogni componente della compagnia si era pentito dei propri peccati. Tutta la compagnia, con in mano una candela e la corona del rosario, formava una processione disposta su due file e preceduta da un crocifero.
Arrivati alla Basilica, chi in ginocchio e chi scalzo, si scendevano gli ottantasei gradini della scalinata angioina, cantando inni all'Arcangelo. Poi si procedeva verso la grotta, sempre in preghiera, fino all'altare.
Davanti alla statua di Andrea Contucci detto il Sansovino (1467-1529): "San Michele in atteggiamento di guerriero, con spada e scudo fiammeggianti, con l'immagine del diavolo sotto i piedi"ogni pellegrino scioglieva i voti fatti e si confessava. Terminate le funzioni religiose, si ritornava in città per l'acquisto dalle botteghe e bancarelle di ricordini come le statue di S. Michele che erano di pietra locale o di alabastro di Carrara e le tradizionali piume colorate che per i pellegrini erano la testimonianza concreta della loro venuta a Monte Sant'Angelo. Le piume venivano sistemate sui bastoni dei pellegrini o sui traini delle compagnie.
Nel Medioevo il pellegrino portava al ritorno dal pellegrinaggio un segno della sua presenza nei famosi santuari della cristianità: la Palma da Gerusalemme, la Conchiglia da S. Giacomo de Compostela in Spagna, le Chiavi da Roma, la Fiala della Manna da Bari, la Piuma da San Michele del Gargano. Nel momento della partenza ogni componente della compagnia riceveva dal santuario una bottiglietta dell'acqua della grotta e una pietra di San Michele che dovevano servire per preservare la famiglia da malattie e proteggere le case.
All'alba ci si riuniva e dopo aver partecipato alla messa si partiva. Ci si incamminava "salmodiando al ritmo di una campanella". Nel viaggio erano previste soste per rifocillarsi. L'andata e il ritorno rappresentavano un forte momento di coesione sociale e spirituale; si familiarizzava e si creavano nuove amicizie. Il ritorno nella città era una grande festa.
Al passaggio della compagnia i residenti applaudivano nel vedere i carri adornati di pennacchi colorati, sistemati sulle teste di cavalli e muli, messi in mostra sugli abiti di donne e uomini. Dopo questa esperienza di fede e devozione, i nostri contadini ritornavano al duro lavoro dei campi, le donne ai compiti del focolare, gli artigiani nelle botteghe, gli altri partecipanti alle loro professioni con nel cuore e nella mente il ricordo del pellegrinaggio vissuto con profonda fede e devozione verso l'Arcangelo Michele che è stato e sarà sempre presente nella vita pubblica e privata della nostra città.
Il nostro popolo da secoli ha creato quasi un rapporto confidente con questo Santo al quale presenta gioie e dolori e chiede favori e protezione. È la testimonianza di una fede vera, genuina e profonda di una devozione sincera, autentica.
Chi è San Michele Arcangelo
Il nome Michele (Mi-ka-el: chi come Dio) è di origine ebraica. L'Arcangelo si presenta quale messaggero di Dio, capo delle milizie celesti, protettore del popolo di Israele, patrono della Chiesa universale. Michele è la luce che sconfigge il buio, il bene che abbatte il male, la vita che supera e vince la morte.
L'iconografia occidentale ce lo presenta vestito da guerriero con lo scudo in una mano che riporta la scritta "Quis ut Deus" (la frase pronunciata dall'Arcangelo nella lotta contro Lucifero che non riconosceva il potere di Dio) e la spada nell'altra; a volte ha la bilancia nella mano sinistra, simbolo della giustizia divina.
L'origine del culto micaelico
L'origine del culto è in Asia Minore, nella Frigia, ove avvennero la prime apparizioni. Un culto orientale antichissimo che presenta forti caratteri taumaturgici e psicagogici. Si diffuse in Occidente nel IV secolo. I santuari dedicati all'Arcangelo sorgevano in prossimità delle acque o nelle grotte.
Il culto giunse in Italia, nel Lazio sulla via Salaria, in Umbria e sul Gargano. Il Gargano diventa il centro più antico del culto riferibile alla seconda metà del V secolo. Sarà Lorenzo Maiorano, vescovo, il fondatore del culto sullo speco garganico. Il "Liber de apparitione sancti Michaelis in Monte Gargano" è l'opera che presenta i straordinari fatti miracolosi che si verificarono su quel monte.
Nell'Italia meridionale il culto si diffuse nel VII secolo con il duca longobardo Romualdo I e di sua moglie Teuderada. Figlio di Grimoaldo, duca di Benevento, e di sua moglie Ita, estese il proprio ducato nelle regioni meridionali e in particolare in Puglia con la conquista di Brindisi e di Taranto e dell'importante santuario di San Michele sul Monte Gargano. Queste conquiste permisero a Romualdo I di rafforzare tra i Longobardi del Sud il culto verso l'Arcangelo che con le sue virtù di guerriero sostituiva l'antico culto germanico del pagano dio Odino.
Il culto di San Michele a Terlizzi
Il culto di San Michele si diffonde a Terlizzi verso la fine dell'VIII secolo con Wacco, Gastaldo longobardo del Ducato di Benevento e Signore del "casale… in Trelicio" (Cronica Monasterii Cassinensis di Leone Ostiense (vescovo Cardinale di Ostia,1060 circa-1115, lib.I, cap. XIV). Con i principi e i re longobardi la grotta garganica diventò una tappa obbligata di pellegrinaggio per la cristianità medievale.
La "Via Sacra Langobardorum" nel Medioevo, legata alla presenza dei Longobardi sul Gargano, era la prosecuzione della via Francigena o Romea percorsa dai Franci, i pellegrini che venivano dall'Europa occidentale. Collegava l'Europa occidentale con la Terra Santa attraverso i porti di Brindisi e di Otranto in Puglia. Lungo questa strada sorsero monasteri, chiese dedicate all'Arcangelo e ricoveri per i pellegrini che si recavano a San Michele e in Terra Santa.
Anche i Normanni di Terlizzi contribuirono alla diffusione del culto micaelico, contribuendo con la loro opera alla costruzione di chiese intra ed extra moenia della "civitas Terlitii". Nel 1132 "Rogerius, filius et heres domini Goffridi comitis, dominator castelli Terlitii", feudatario normanno e Signore di Terlizzi, fa costruire una chiesa "quae sita est in territorio dicte civitatis(Siponti) iuxta stratam Perigrinorum", precisamente nel casale di Versentino che si trovava nelle vicinanze di Siponto sulla foce del Candelaro e la dona con le sue pertinenze al "sacerdos prior" Vito e per esso alla badia benedettina di San Leonardo (Regesto S. Leonardi Siponti).
La donazione di Rogerius viene fatta, come lo stesso afferma, "in sconto dei miei peccati e per l'anima di mio padre". Nelle pergamene del nostro archivio diocesano nei vari negozi giuridici di origine longobarda e normanna si fa esplicito riferimento alla protezione dell'Arcangelo.
Le prime chiese costruite in loco sono dedicate a San Michele. Una bolla del 1038 del vescovo di Giovinazzo Grimaldo, da cui dipendeva il "locus Terlitii", in occasione della consacrazione della prima chiesa concede al clero speciali privilegi.
Sotto il dominio del normanno conte Amico la chiesa verrà demolita e sarà costruita una seconda dedicata sempre all'Arcangelo alla quale vengono concessi rendite beneficiali e beni immobili.
Il 5 settembre del 1073 viene consacrata alla presenza di Amico da Giacinto Vescovo di Giovinazzo (Pacecco, Acta Visit.Apost.,p.77t.). La prima Chiesa Madre della "civitas Terlitii", in rapida espansione urbanistica ed edilizia, aveva numeroso clero, capitolo e dignità.
Nel 1088 sarà governata da Fuscone, primo arciprete. Nel 1235 l'arciprete Guaranno, di origine normanna, contribuisce alla costruzione della nuova "fabrica ecclesia Sancti Angeli" (la terza in ordine di tempo), grazie a lasciti, donazioni, permute di terre, la quale viene consacrata il 22 gennaio del 1258. La primitiva chiesa di S. Angelo del 1073 non fu abbattuta, ma inserita come appendice del transetto nell'area presbiteriale, a ridosso della nuova Collegiata.
L'abbattimento della Chiesa Madre gotico-romanica, divenuta Cattedrale nel 1749, venne distrutta nel 1782 per far posto all'attuale ottocentesca Cattedrale neoclassica.
La statua terlizzese di San Michele Arcangelo e l'Oratorio
La magnifica statua dell'Arcangelo Michele della antica Collegiata che troneggiava sul portale di Anseramo da Trani, opera certamente dello stesso Anseramo, prima del restauro della Pinacoteca de Napoli si poteva ammirare anche se mutila sulle pareti dell'androne della stessa; da decenni, invece, giace nascosta nel lapidarium.
Analizzando la scultura si potrebbe ipotizzare che l'Arcangelo reggesse col braccio destro la lancia spiralata che trafiggeva il drago e con il sinistro uno scudo.
Il centro propulsore del culto dei terlizzesi verso l'Arcangelo Michele, da secoli invocato come patrono della città e come compatrono della Diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, è stato l'Oratorio sotto il titolo della Sacra Famiglia, situato nella parte orientale della città e precisamente in via Massimo D'Azeglio 9.
La richiesta di un oratorio privato da erigersi presso la propria abitazione fu inoltrata il 1869 da Giovanni Tangari all'Ordinario Diocesano. La richiesta fu accolta in quanto una sufficiente dote ne garantiva l'esistenza. L'Oratorio, chiamato dal popolo "la chiesodde", è conosciuto anche come "chiesa della Natività e di San Michele".
L'Associazione di San Michele Arcangelo
A mantenere viva in città la devozione micaelica fu, verso la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, l'arcidiacono don Francesco Tangari (1909-1917). La forte devozione verso il Santo garganico spinse alcuni devoti verso la fine degli anni Quaranta del Novecento a costituire una associazione che prese il nome di "Associazione San Michele", la quale organizzava i solenni festeggiamenti dell'8 maggio e del 29 settembre, i pellegrinaggi allo speco garganico e il 6 agosto, festa del Padre Eterno o Trasfigurazione di Nostro Signore, alla chiesetta rurale dell'Eterno Padre, già di Santa Maria di Corsignano, situata nell'agro tra Giovinazzo e Terlizzi.
In questa chiesetta ha avuto origine il culto della Madonna di Corsignano, patrona della città di Giovinazzo e rappresenta, pertanto, il luogo simbolo della devozione mariana giovinazzese.
Il 23 ottobre del 1949 il Vescovo diocesano Mons. Achille Salvucci approvava lo Statuto composto da quattordici articoli il cui preambolo si riporta: "Statuto-Norme e vantaggi dell'Associazione San Michele Arcangelo – Terlizzi - Sotto lo sguardo divino dell'Onnipotente Dio e sotto la protezione dello Invitto Condottiero San Michele Arcangelo è istituita l'Associazione di San Michele Arcangelo nella Parrocchia della Cattedrale di Terlizzi" Visto-Molfetta,23/10/1949-Il Vescovo Achille Salvucci".
C'è da dire però che l'Associazione non ha avuto mai altra sede, solo ed unicamente la chiesa della Natività la cui apertura e successivo accoglimento nella stessa dell'Associazione San Michele vennero regolarmente autorizzati dalle autorità ecclesiastiche (Vescovo e Curia Vescovile di Terlizzi).
Contrasti interni ed esterni alla Associazione resero problematica la sua esistenza e causarono una dura presa di posizione da parte del Vescovo Salvucci che decise con decreto dell'11.2.1965 di scioglierla e ricostituirla presso la locale Cattedrale, affidandola alla cura pastorale dell'arciprete pro tempore.
La facciata dell'Oratorio è semplice e lineare, non presenta particolari elementi decorativi. In alto troneggia un piccolo campanile a vela. Nel timpano della portale d'ingresso dell'Oratorio si legge la seguente iscrizione in latino che richiama il promotore della sua costruzione, Giovanni Tangari: "Domus Dei G.T. A.D.1869". L'interno è a navata unica, con volte a botte e lunette laterali. L'unico altare, in pietra calcarea locale, è collocato su due larghi gradini, anch'essi di pietra locale. Maioliche bianche e gialle ottocentesche tipiche dell'artigianato locale adornano il gradino più alto. L'Oratorio conserva opere scultoree in legno e in cartapesta dei secoli XVIII e XIX, oltre a preziosi reliquiari. Sull'altare è collocato un magnifico gruppo scultoreo databile al Settecento (Madonna-San Giuseppe-Gesù Bambino) raffigurante la Sacra Famiglia. Sotto il piano mensa dell'altare una teca sarcofago conserva un Cristo morto dell'Ottocento di particolare fattura e suggestione. A destra dell'altare, in una teca di vetro, si ammira un magnifico San Michele Arcangelo. Infine, in una nicchia è posta una statua dell'Addolorata.
L'Oratorio della Sacra Famiglia rappresenta, quindi, una pagina importante della storia religiosa e civile di Terlizzi. È stato il tempio della fede semplice e genuina dei nostri padri, il centro propulsore del culto micaelico molto sentito a Terlizzi. Abbiamo il dovere di salvaguardarlo e trasmetterlo alle future generazioni.
Si coglie l'occasione per ringraziare pubblicamente l'Associazione Culturale "Pro Chiesetta della Natività" che alla fine degli anni Novanta del Novecento e inizio del nuovo millennio, guidata dal prof. Michele de Palma e dal signor Cagnetta Nicola, si accollò l'onere dell'acquisto e del restauro. Si augura che questo scrigno di fede autentica micaelica del popolo terlizzese possa diventare, con opportuna acquisizione giuridica, parte integrante della chiesa terlizzese per continuare a cantare con gli Arcangeli e gli Angeli le lodi a Dio, l'Onnipotente ed Eterno.
Le feste dell'8 maggio e del 29 settembre
Le feste dell'8 maggio e del 29 settembre sono i due momenti celebrativi degli episodi delle "apparitiones" e coincidevano con l'inizio e il termine dei grandi lavori agricoli (semina e mietitura) legati ai cicli di primavera e di autunno. Sono le feste delle compagnie, di un popolo in cammino per la espiazione dei peccati, della fede tradizionale ove folclore e spiritualità si uniscono. Il pellegrinaggio veniva fatto con i traini tirati da muli, cavalli, con le biciclette e alcuni lo facevano a piedi scalzi "nudatis pedibus".
Fino all'inizio degli anni Sessanta del Novecento veniva organizzato dalla Associazione San Michele, usando come mezzo di trasporto il traino. Generalmente si impiegavano quattro, cinque giorni per arrivare alla città garganica di Monte Sant'Angelo. Ci si fermava una giornata per compiere nella Basilica micaelica i rituali tipici dei pellegrini. Ci volevano almeno altri quattro giorni per il ritorno.
I preparativi erano curati dal priore dell'Associazione, Carmine Cipriani detto Carminuccio, che mesi prima iniziava a prendere i nominativi di coloro che erano intenzionati a recarsi a San Michele al fine di formare la compagnia che doveva essere fornita di traini efficienti e di animali in buona salute. Nel giorno della partenza veniva celebrata la messa e si amministrava ai partecipanti la estrema unzione per gli imprevisti che potevano succedere durante il viaggio che negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento poteva dirsi avventuroso a causa della presenza di strade e tratti impervi e ripidi.
Ci si metteva in cammino di buon'ora con il proprio traino, dopo aver recitato ogni partecipante delle preghiere a San Michele. La compagnia era composta da cinque a dieci traini. Giunti al Gargano prima di iniziare a salire il monte si svuotavano i carri e ognuno si caricava sulle spalle una pietra in segno di penitenza e si procedeva recitando il rosario. All'ingresso di Monte Sant'Angelo la pietra veniva lasciata cadere in quanto, idealmente, questo gesto significava che ogni componente della compagnia si era pentito dei propri peccati. Tutta la compagnia, con in mano una candela e la corona del rosario, formava una processione disposta su due file e preceduta da un crocifero.
Arrivati alla Basilica, chi in ginocchio e chi scalzo, si scendevano gli ottantasei gradini della scalinata angioina, cantando inni all'Arcangelo. Poi si procedeva verso la grotta, sempre in preghiera, fino all'altare.
Davanti alla statua di Andrea Contucci detto il Sansovino (1467-1529): "San Michele in atteggiamento di guerriero, con spada e scudo fiammeggianti, con l'immagine del diavolo sotto i piedi"ogni pellegrino scioglieva i voti fatti e si confessava. Terminate le funzioni religiose, si ritornava in città per l'acquisto dalle botteghe e bancarelle di ricordini come le statue di S. Michele che erano di pietra locale o di alabastro di Carrara e le tradizionali piume colorate che per i pellegrini erano la testimonianza concreta della loro venuta a Monte Sant'Angelo. Le piume venivano sistemate sui bastoni dei pellegrini o sui traini delle compagnie.
Nel Medioevo il pellegrino portava al ritorno dal pellegrinaggio un segno della sua presenza nei famosi santuari della cristianità: la Palma da Gerusalemme, la Conchiglia da S. Giacomo de Compostela in Spagna, le Chiavi da Roma, la Fiala della Manna da Bari, la Piuma da San Michele del Gargano. Nel momento della partenza ogni componente della compagnia riceveva dal santuario una bottiglietta dell'acqua della grotta e una pietra di San Michele che dovevano servire per preservare la famiglia da malattie e proteggere le case.
All'alba ci si riuniva e dopo aver partecipato alla messa si partiva. Ci si incamminava "salmodiando al ritmo di una campanella". Nel viaggio erano previste soste per rifocillarsi. L'andata e il ritorno rappresentavano un forte momento di coesione sociale e spirituale; si familiarizzava e si creavano nuove amicizie. Il ritorno nella città era una grande festa.
Al passaggio della compagnia i residenti applaudivano nel vedere i carri adornati di pennacchi colorati, sistemati sulle teste di cavalli e muli, messi in mostra sugli abiti di donne e uomini. Dopo questa esperienza di fede e devozione, i nostri contadini ritornavano al duro lavoro dei campi, le donne ai compiti del focolare, gli artigiani nelle botteghe, gli altri partecipanti alle loro professioni con nel cuore e nella mente il ricordo del pellegrinaggio vissuto con profonda fede e devozione verso l'Arcangelo Michele che è stato e sarà sempre presente nella vita pubblica e privata della nostra città.
Il nostro popolo da secoli ha creato quasi un rapporto confidente con questo Santo al quale presenta gioie e dolori e chiede favori e protezione. È la testimonianza di una fede vera, genuina e profonda di una devozione sincera, autentica.