
Attualità
Referendum giustizia, a Terlizzi riscuote consenso il Comitato "Giusto dire No"
Gremita la sala consiliare, elevato l'interesse dei cittadini
Terlizzi - giovedì 18 dicembre 2025
Sono aspre e debitamente motivate le contestazioni del Comitato "Giusto dire No" sulla "riforma Nordio" che sarà oggetto di referendum la prossima primavera. Le osservazioni critiche sono state ampiamente sviscerate in sala consiliare lo scorso lunedì, 15 dicembre, all'attenzione di un folto uditorio che ha esaurito i posti a sedere e si è perfino riversato nel corridoio della sede istituzionale, tanto è scottante il tema affrontato. Per i sostenitori del "no" si tratta di una riforma «inefficace» che non risponde a principi costituzionali, oltre che «inutile e antidemocratica», in quanto va a scardinare l'assetto costituzionale. L'obiettivo della nuova legge costituzionale appare «sovversivo», trovando le sue fondamenta nella politica che sembra voler delegittimare la magistratura.
Codificando la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, la riforma punta alla creazione di due Consigli Superiori della Magistratura (CSM), con conseguenze che si ripercuoterebbero sull'intera popolazione italiana.
Occorre, innanzitutto, chiarire che il pubblico ministero (PM) è un magistrato che, identificato come "pubblica accusa", svolge funzioni di coordinamento delle indagini e di ricerca delle prove (a sfavore e a favore dell'indagato). Il giudice, invece, è il magistrato che decide sull'innocenza o la colpevolezza di un soggetto. Entrambe le figure, quindi, appartengono alla magistratura ordinaria cui si è avuto accesso superando il medesimo concorso pubblico: un candidato, cioè, quando decide di intraprendere la carriera in magistratura deve sostenere tre prove scritte e un orale molto complesso; solamente quando avrà preso servizio, dopo un periodo di tirocinio, dovrà decidere se assumere la qualifica di giudice oppure quella di pubblico ministero.
Si rileva, di conseguenza, che attualmente il Consiglio Superiore della Magistratura - organo di autogoverno della magistratura - è uno solo, dal momento che il principio alla base è quello dell'unitarietà. Paradossalmente, creare due CSM - uno per i giudici e l'altro per i pubblici ministeri - comporterebbe un rafforzamento del potere del pubblico ministero che avrebbe un suo specifico organo di autogoverno di riferimento, divenendo questo autoreferenziale.
Per i promotori del "No", dunque, la riforma costituzionale sarebbe uno «specchietto per le allodole», evidenziando una finalità ritorsiva e punitiva per l'intero corpo della magistratura. I costi, peraltro, da sostenere sarebbero elevatissimi, aggirandosi intorno ai 140 milioni di euro: da un lato, occorrerebbero fondi per la formazione del secondo CSM dedicato soltanto ai pubblici ministeri; dall'altro, sarebbe necessario un apposito edificio per ospitare appunto il secondo CSM.
Altro punto controverso riguarda la composizione dello stesso CSM: attualmente esso è formato dal primo presidente della Corte di Cassazione, dal procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, da sedici componenti eletti dai magistrati ordinari e, infine, da otto componenti eletti dal Parlamento in seduta comune scelti tra avvocati e docenti universitari. La "riforma Nordio", invece, punta sui membri laici (non magistrati) del CSM che dovranno essere sorteggiati in una lista decisa dalla maggioranza parlamentare. In tal modo, si politicizzerebbe la magistratura con le pressioni delle due Camere del Parlamento. Così facendo, però, si ingenerebbe un discrimen rispetto ad altre categorie professionali, come quella degli avvocati e dei notai, giacché i loro Consigli vengono eletti rispettivamente dai loro rappresentanti.
A rischio, inoltre, sarebbe posta la stessa imparzialità della magistratura se gli indirizzi politici dovessero infiltrarsi dell'agire dei pubblici ministeri: verrebbero, infatti, meno quei principi di imparzialità e terzietà cristallizzati nella nostra Costituzione, assoggettando, di conseguenza, il PM al sentire politico. Ne deriverebbero commistioni tra potere esecutivo e potere giudiziario quando, invece, la separazione dei poteri è alla base della tenuta del nostro sistema.
Né si può argomentare sulla scorta del pericolo di eventuali conflitti di interesse se un soggetto, inizialmente giudice o pubblico ministero, si orientasse, a un certo punto della sua carriera, a divenire pubblico ministero o giudice, incorrendo, così, nell'evenienza di ritrovarsi a trattare cause sulle quali originariamente aveva lavorato con una qualifica diversa. Le statistiche, difatti, registrano una bassissima percentuale sui "cambi di mestiere", sottolineando, al contrario, una sorta di "fedeltà" verso il tipo di servizio assunto all'inizio del proprio ingresso in magistratura. Si aggiunge, poi, che in molti processi i giudici sconfessano l'operato dei pubblici ministeri, agendo a favore dell'imputato: anche questo denota un atteggiamento super partes che si fonda sul diritto penale del fatto e sulla produzione probatoria.
Per il professor Nicola Colaianni - docente universitario già ordinario di diritto ecclesiastico, diritto costituzionale della pace e ordinamento giudiziario, oltre che magistrato di Cassazione - il referendum assurge a primo banco di prova. «Se dovesse passare il sì, si incoraggerà la maggioranza di governo a procedere anche sulla via dell'autonomia differenziata e del premierato. Ci sarebbe una Costituzione diversa senza contrappesi che permettono equilibrio nella politica del Paese».
Una carrellata di azioni del governo centrale indurrebbe a pensare che si stia procedendo nel senso dell'"infangamento" degli istituti del diritto. Già di per sé l'abrogazione del reato di abuso d'ufficio ha condotto a non punire più talune fattispecie concrete che potrebbero assumere rilevanza penale. Sul fronte delle intercettazioni, siano esse telefoniche o ambientali - strumenti importanti per portare all'emersione di fatti illeciti, come quelli corruttivi - si sta tentando addirittura di limitare la loro durata: la giustificazione politica addotta si rispecchia nel risparmio delle casse dello Stato.
«Dire no alla riforma Nordio significa difendere il sacrificio di chi ha lottato per la libertà. Significa scegliere tra due idee di democrazia e giustizia: da un lato, giustizia debole e influenzabile; dall'altro lato, giustizia indipendente» è la riflessione conclusiva del giudice Angela Arbore, presidente della sezione Lavoro al tribunale di Trani, la quale lamenta che si tratta di una «riforma blindata che è andata veloce come un treno. Non c'è stato mai nessun confronto con l'Associazione Nazionale Magistrati».
Codificando la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, la riforma punta alla creazione di due Consigli Superiori della Magistratura (CSM), con conseguenze che si ripercuoterebbero sull'intera popolazione italiana.
Occorre, innanzitutto, chiarire che il pubblico ministero (PM) è un magistrato che, identificato come "pubblica accusa", svolge funzioni di coordinamento delle indagini e di ricerca delle prove (a sfavore e a favore dell'indagato). Il giudice, invece, è il magistrato che decide sull'innocenza o la colpevolezza di un soggetto. Entrambe le figure, quindi, appartengono alla magistratura ordinaria cui si è avuto accesso superando il medesimo concorso pubblico: un candidato, cioè, quando decide di intraprendere la carriera in magistratura deve sostenere tre prove scritte e un orale molto complesso; solamente quando avrà preso servizio, dopo un periodo di tirocinio, dovrà decidere se assumere la qualifica di giudice oppure quella di pubblico ministero.
Si rileva, di conseguenza, che attualmente il Consiglio Superiore della Magistratura - organo di autogoverno della magistratura - è uno solo, dal momento che il principio alla base è quello dell'unitarietà. Paradossalmente, creare due CSM - uno per i giudici e l'altro per i pubblici ministeri - comporterebbe un rafforzamento del potere del pubblico ministero che avrebbe un suo specifico organo di autogoverno di riferimento, divenendo questo autoreferenziale.
Per i promotori del "No", dunque, la riforma costituzionale sarebbe uno «specchietto per le allodole», evidenziando una finalità ritorsiva e punitiva per l'intero corpo della magistratura. I costi, peraltro, da sostenere sarebbero elevatissimi, aggirandosi intorno ai 140 milioni di euro: da un lato, occorrerebbero fondi per la formazione del secondo CSM dedicato soltanto ai pubblici ministeri; dall'altro, sarebbe necessario un apposito edificio per ospitare appunto il secondo CSM.
Altro punto controverso riguarda la composizione dello stesso CSM: attualmente esso è formato dal primo presidente della Corte di Cassazione, dal procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, da sedici componenti eletti dai magistrati ordinari e, infine, da otto componenti eletti dal Parlamento in seduta comune scelti tra avvocati e docenti universitari. La "riforma Nordio", invece, punta sui membri laici (non magistrati) del CSM che dovranno essere sorteggiati in una lista decisa dalla maggioranza parlamentare. In tal modo, si politicizzerebbe la magistratura con le pressioni delle due Camere del Parlamento. Così facendo, però, si ingenerebbe un discrimen rispetto ad altre categorie professionali, come quella degli avvocati e dei notai, giacché i loro Consigli vengono eletti rispettivamente dai loro rappresentanti.
A rischio, inoltre, sarebbe posta la stessa imparzialità della magistratura se gli indirizzi politici dovessero infiltrarsi dell'agire dei pubblici ministeri: verrebbero, infatti, meno quei principi di imparzialità e terzietà cristallizzati nella nostra Costituzione, assoggettando, di conseguenza, il PM al sentire politico. Ne deriverebbero commistioni tra potere esecutivo e potere giudiziario quando, invece, la separazione dei poteri è alla base della tenuta del nostro sistema.
Né si può argomentare sulla scorta del pericolo di eventuali conflitti di interesse se un soggetto, inizialmente giudice o pubblico ministero, si orientasse, a un certo punto della sua carriera, a divenire pubblico ministero o giudice, incorrendo, così, nell'evenienza di ritrovarsi a trattare cause sulle quali originariamente aveva lavorato con una qualifica diversa. Le statistiche, difatti, registrano una bassissima percentuale sui "cambi di mestiere", sottolineando, al contrario, una sorta di "fedeltà" verso il tipo di servizio assunto all'inizio del proprio ingresso in magistratura. Si aggiunge, poi, che in molti processi i giudici sconfessano l'operato dei pubblici ministeri, agendo a favore dell'imputato: anche questo denota un atteggiamento super partes che si fonda sul diritto penale del fatto e sulla produzione probatoria.
Per il professor Nicola Colaianni - docente universitario già ordinario di diritto ecclesiastico, diritto costituzionale della pace e ordinamento giudiziario, oltre che magistrato di Cassazione - il referendum assurge a primo banco di prova. «Se dovesse passare il sì, si incoraggerà la maggioranza di governo a procedere anche sulla via dell'autonomia differenziata e del premierato. Ci sarebbe una Costituzione diversa senza contrappesi che permettono equilibrio nella politica del Paese».
Una carrellata di azioni del governo centrale indurrebbe a pensare che si stia procedendo nel senso dell'"infangamento" degli istituti del diritto. Già di per sé l'abrogazione del reato di abuso d'ufficio ha condotto a non punire più talune fattispecie concrete che potrebbero assumere rilevanza penale. Sul fronte delle intercettazioni, siano esse telefoniche o ambientali - strumenti importanti per portare all'emersione di fatti illeciti, come quelli corruttivi - si sta tentando addirittura di limitare la loro durata: la giustificazione politica addotta si rispecchia nel risparmio delle casse dello Stato.
«Dire no alla riforma Nordio significa difendere il sacrificio di chi ha lottato per la libertà. Significa scegliere tra due idee di democrazia e giustizia: da un lato, giustizia debole e influenzabile; dall'altro lato, giustizia indipendente» è la riflessione conclusiva del giudice Angela Arbore, presidente della sezione Lavoro al tribunale di Trani, la quale lamenta che si tratta di una «riforma blindata che è andata veloce come un treno. Non c'è stato mai nessun confronto con l'Associazione Nazionale Magistrati».



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