Concluso il Festival per la legalità: arrivederci all'edizione 2023

Il sindaco De Chirico: «Al lavoro per un'accoglienza strutturata per i migranti»

martedì 29 novembre 2022 19.04
A cura di Vincenza Urbano
Sono già al lavoro per la XII edizione del "Festival per la legalità" i componenti dell'associazione "È fatto giorno aps" che, con ben sei appuntamenti nel calendario del 2022, hanno dimostrato che occorre perseverare nella trattazione dei temi afferenti alla legalità. Un bilancio più che positivo in termini di partecipazione ai vari incontri: una curiosità adeguatamente pungolata su molteplici temi, come il benessere sociale e individuale, la giustizia riparativa e i migranti attraverso convegni e performance teatrali.

Il Festival si veste del ruolo di presidio di legalità in un territorio che manifesta le sue debolezze, come si ricava dagli interventi della magistratura delle scorse settimane volti al colpire il cuore dei clan locali. Si rende, dunque, necessario dissertare sui diritti laddove questi siano pesantemente inficiati dalle organizzazioni criminali o dall'indifferenza diffusa nella comunità.

La fame di conoscenza e di apprendimento stimola la ricerca di soluzioni alternative sia all'inosservanza di regole sia a prescrizioni normative inadatte e lacunose. Lo spirito critico spoglia dei pregiudizi e consente di leggere la realtà in un'ottica più consapevole e meno timorosa.

Viviamo in uno Stato permanente di diritto che nella pratica dovrebbe tradursi nella garanzia dei diritti e dei servizi minimi e indispensabili per condurre una vita dignitosa. È quanto emerso più specificamente nell'evento di ieri sera, lunedì 28 novembre, con un approfondimento sulle condizioni degli immigrati: un tema che scotta, vista la presenza di numerosi stranieri giunti a Terlizzi per la raccolta delle olive.

Il quadro delineato è alquanto drammatico, «tremendo, apocalittico»: nelle campagne terlizzesi si accampano stranieri in cerca di un rifugio, seppure in assenza di igiene e di sicurezza. Molti sono giunti in città dopo la traversata con i barconi, altri via terrestre seguendo la rotta balcanica: il lungo camminare a piedi dalla Turchia, alla Grecia, ai Paesi slavi, alla Croazia, sino a giungere nel nord Italia e poi giù fino alla Puglia, è ben impresso su corpi giovani di circa vent'anni, già martoriati dalle lunghe fatiche e dalle violenze subite durante il tragitto.

Sopravvissuti, quindi, che arrivano qui già stremati e che vengono trattati come «bestiame» soprattutto quando sussistono, come nella Capitanata, le logiche del caporalato. «Uno sfruttamento della terra e delle persone» che è strettamente collegato all'opulenza che caratterizza l'italiano medio: l'esigenza di avere «cibo sempre» alimenta in un cortocircuito il desiderio di consumare frutta e verdura fuori stagione.

Una vita «complessa, faticosa e fatiscente» che non consente di prendersi cura della propria persona, se non grazie alla struttura della Caritas che, tramite i suoi aderenti nelle varie parti d'Italia, fornisce la possibilità di accedere, ad esempio, alle cure mediche.

Come sostiene Papa Francesco, «il destino di tutti è nelle mani di tutti». Occorre, pertanto, «reagire e agire», affinché gli immigrati possano acquisire un potere contrattuale tale da rifiutare di accettare paghe bassissime per numerose ore lavorative in condizioni «subumane».

Le vicende si complicano quando uomini e donne sfruttati non sono dotati di permesso di soggiorno. Secondo la legge vigente, è consentito ottenerne uno per sfruttamento solo a seguito di denuncia del reato di "intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro" di cui all'articolo 603 bis del Codice Penale. Si tratta, però, di un meccanismo alquanto incerto e rischioso, poiché il permesso potrebbe essere rilasciato dopo due o tre anni: un lasso temporale in cui i soggetti rimarrebbero senza lavoro, col pericolo peraltro di aggressioni da parte dei caporali o dei datori di lavoro denunciati.

Le vulnerabilità umane sono state prese in disamina anche in altri incontri del Festival, sotto il profilo dei detenuti: perplessità, infatti, sono sorte sull'attuale portata del carcere come pena idonea a permettere il reinserimento sociale del reo nella collettività di appartenenza. Secondo alcune indagini statistiche, la detenzione carceraria incrementa la vena violenta del condannato, con la conseguenza che a fine espiazione si reimmettono nella comunità individui non totalmente rieducati.

Dovrebbe, dunque, spettare alle istituzioni prestare maggiore attenzione a sanzioni alternative al carcere, che riducano il senso di isolamento e si traducano in gesti concreti, in un'ottica di riconciliazione, attraverso la mediazione sociale e il confronto con le vittime. Emblematico è il progetto "Senza sbarre" che impegna coloro che stanno scontando la pena nella produzione di taralli caserecci e nell'"orto delle riparazioni".

Il Sindaco Michelangelo De Chirico, ad ogni modo, sta lavorando sulla questione delle immigrazioni insieme all'intera amministrazione, avvalendosi anche dell'ausilio delle associazioni. «È nostra intenzione implementare un'accoglienza strutturata, sia fornendo un centro dove ripararsi, nutrirsi e riposarsi sia incentivando forme di integrazione».
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