La storia di Vincenzo, infermiere volontario all'Ospedale Covid di Milano Fiera

Aveva smesso per dedicarsi ad altro. Ma non ha esitato a partire per la Lombardia

sabato 11 aprile 2020
A cura di Francesco Pittò
Il nostro concittadino Vincenzo Chiapparino è stato infermiere professionale, lavorando per 7 anni in terapia intensiva, per 10 in pronto soccorso e per altri 8 nel Servizio sanitario emergenza-urgenza 118. Un anno e mezzo fa ha lasciato il suo lavoro per dedicarsi ad un altro percorso di vita, un nuovo progetto indipendente inerente la disciplina sportiva del longboard e il surf skating alla quale si è appassionato circa 4 anni fa. Aveva lasciato la divisa con il chiaro intento di sviluppare questo sport negli ambienti più idonei.
Ma nel periodo del Coronavirus ha deciso di scendere in campo in prima linea per vincere la partita contro la pandemia. L'abbiamo intervistato a poche ore del suo arrivo a Milano dove farà servizio tramite la Protezione Civile all''Ospedale Fiera' e la prima cosa che ci ha detto è stata questa: «Mi sono emozionato nel rimettermi la divisa per scendere in campo contro un male che sta facendo soffrire la mia nazione». Ecco il resto della nostra intervista.

Dopo un anno e mezzo di inattività dal tuo lavoro di infermiere ti sei rimesso in discussione, come mai?
«Sì, mi sono sentito come in dovere di scendere in campo per dare una mano, perché è nella mia indole. C'è stata come un'attrazione, come un invito a tornare in prima linea. Mi sono guardato allo specchio e mi son detto: "Vincenzo rimettiti la divisa e vai a dare una mano". Ho partecipato al bando di selezione della Protezione Civile, ed il giorno successivo alla compilazione del format sono stato contattato, e quindi sono venuto a Milano, destinazione per tredici di noi. Presto servizio nel nuovo Ospedale Fiera di Milano a gestione del Policlinico del capoluogo lombardo. Da giovedì è iniziata la mia opera con la Protezione Civile nella lotta al Coronavirus».

Parlaci della situazione a Milano rispetto a quella che hai vissuto al sud in questo mese di restrizione?
«Quello che ho trovato di totalmente differente è che la gente ha paura. Qui osservano un distanziamento sociale enorme. Hanno vissuto e stanno ancora vivendo giorni di disperazione perché tanta gente qua è morta. Nei loro occhi si legge la paura, la desolazione, mentre noi meridionali l'abbiamo vissuta in maniera ridotta, siamo stati molto fortunati, in un certo senso, a poter metter in atto le misure preventive attutendo il colpo».

Passiamo proprio alla differenza dei contagi e alla parabola che, a quanto pare, sta discendendo?
«La considerazione che voglio fare a tal proposito è che non bisogna vedere i casi che calano, questo è un errore che non si deve fare perché a livello sociale questo non significa nulla. È vero che in molte zone c'è una fase di stabilizzazione del picco o un calo dei contagiati, ma questo non significa che abbiamo vinto la nostra battaglia, anzi al contrario questi sono i momenti più pericolosi. Se si molla la presa e se diveniamo permissivi nelle cose sarebbe letale soprattutto per noi al sud che non abbiamo vissuto la stessa situazione del nord. Quindi bisogna fare molta attenzione per un periodo abbastanza lungo, perché basta un periodo breve di allentamento delle restrizioni e il sistema sanitario andrebbe in tilt. Qui è successo che il sistema sanitario della Lombardia, che tutti ci invidiano in tutta Europa, ha risentito del colpo. Quindi i controlli vanno intensificati, perché se questa cosa succedesse da noi, sarebbero guai».

E che scenari si prevedono secondo te?
«Al nostro arrivo a Milano, l'epidemiologo che ci ha istruito sul fa farsi, in una conferenza, ha raccontato dei casi nascosti e dei tamponi a tappeto da effettuare anche nelle case, perché là ci sono i casi nascosti, quelli di chi è asintomatico o ha un semplice raffreddore senza febbre ed il virus è in agguato. Diciamo che nella fase due bisognerà svuotare il cestino e capire quanti casi effettivi ci sono. E poi la scienza non ha ancora accertato che dopo essersi negativizzati, si sia immuni.».

Mascherine e come usarle: vanno indossate da tutti?
«Sì, rigorosamente da tutti e bisogna indossarle in maniera appropriata, e non togliersele innumerevoli volte per poi rimettersele con le stesse mani con cui si è toccato i soldi e le superfici. Potrebbe stazionarvi il virus che, come sappiamo, sopravvive per ore. La mascherina va messa dopo il lavaggio delle mani e va tolta quando, tornati a casa, ce le siamo lavate di nuovo, altrimenti se non si seguono queste istruzioni potrebbe essere letale. E le mascherine riutilizzabili per uso civile vanno sterilizzate con il metodo della vaschetta e dello spirito alla base della stessa».

Un consiglio che vuoi dare ai terlizzesi?
«Di stare molto attenti e di uscire soltanto per motivi urgenti, di fare la spesa una volta a settimana. Siamo stati fortunati a non aver vissuto quello che si è vissuto qua in Lombardia, se non vogliamo vivere la medesima situazione dobbiamo attenerci alle regole».