Referendum giustizia, le ragioni del Comitato "Giusto dire No"
Incontro pubblico fissato in sala consiliare lunedì 15 dicembre
Nel caso in cui il risultato referendario sia contrario all'approvazione, la legge si considererà come mai emanata. Nell'eventualità, invece, in cui l'esito sia positivo, il Presidente della Repubblica dovrà procedere con la promulgazione della legge senza indugio. Trattandosi di un referendum confermativo, non è necessario – a differenza del referendum abrogativo – raggiungere il quorum della maggioranza degli aventi diritto al voto. L'articolo 138 della Costituzione sancisce, infatti, che la legge di revisione costituzionale debba essere semplicemente approvata o bocciata dalla maggioranza dei voti validamente espressi, a prescindere dal numero complessivo dei votanti.
Se gli italiani dovessero prediligere il "Sì", concordando, dunque, con la nuova normativa, ci sarebbe una svolta epocale con forti ripercussioni sull'intero ordinamento interno. A spiegare, tuttavia, le ragioni del "No" ai terlizzesi saranno giuristi di spessore in un evento pubblico che si svolgerà lunedì 15 dicembre in sala consiliare, alle ore 18.30. "Referendum sulla giustizia. Le ragioni del No. Per difendere il principio dell'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge" è il nome del convegno che vedrà interloquire anche gli aderenti del Comitato "Giusto dire No".
Interverranno nel corso dell'incontro Nicola Colaianni – docente universitario già ordinario di diritto ecclesiastico, diritto costituzionale della pace e ordinamento giudiziario, oltre che magistrato di Cassazione – Bepi Maralfa, avvocato e responsabile dell'ufficio anticorruzione del comune di Molfetta, e il giudice Angela Arbore, presidente della sezione Lavoro al tribunale di Trani. Presenteranno, inoltre, le ragioni del Comitato "Giusto dire No" il giudice Giovanna De Scisciolo, presidente di sezione della Corte d'appello di Bari, e Giuseppe Volpe, già Procuratore della Repubblica al Tribunale di Bari.
Di seguito si riporta il decalogo informativo del Comitato "Giusto dire No" con le sue "10 buone ragioni".
«1. È la prima volta che il potere esecutivo decide di limitare profondamente il ruolo del potere giudiziario
La riforma è un intervento forte di un potere dello Stato sulla struttura di un altro potere.
È uno strappo senza precedenti: la politica tenta di ridimensionare l'autonomia della magistratura, rendendo meno efficace la sua opera di bilanciamento e controllo.
La riforma ha un altro primato: è la prima volta che una riforma costituzionale è approvata in tempi così veloci e senza un dibattito approfondito, nonostante i valori in gioco.
Una torsione pericolosa dell'equilibrio tra poteri, sancito dalla Costituzione.
2. Il vero obiettivo: indebolire il CSM, garante dell'indipendenza dei giudici dal potere politico
Il Consiglio Superiore della Magistratura
garantisce che i giudici rispondano solo alla legge, non ai governi.
La riforma lo divide, lo svuota dei suoi poteri e lo limita nel suo ruolo costituzionale essenziale.
Indebolire il CSM significa rendere i cittadini più deboli di fronte al potere politico.
3. La riforma rende più facili le pressioni indebite della politica sulla giustizia
Separare PM e giudici, frammentare il CSM, rendere influenzabile l'organo disciplinare dei giudici: tre modifiche che riducono l'autonomia della magistratura.
Chi indaga o giudica su questioni politicamente sensibili dovrà guardarsi le spalle.
Se il giudice fosse oggetto di pressioni esterne troppo forti, il cittadino perderebbe un arbitro imparziale.
4. Sorteggio casuale dei membri togati: un CSM meno competente è meno efficiente e più indifeso
Il sorteggio casuale dei componenti del CSM viene presentato come soluzione al "correntismo", ma in realtà così la riforma mina alla radice l'efficienza del CSM.
L'organo finirà per essere composto da giudici che non hanno motivazione o competenza necessarie per un ruolo così delicato, e non è detto che questi, solo perché sorteggiati, non possano formare gruppi di potere.
Un CSM in mano al caso è più debole, quindi più inadeguato a proteggere l'indipendenza dei giudici.
5. La riforma incoraggia la scelta pilotata dei membri laici in quota alla maggioranza
I membri laici (non magistrati) del CSM saranno sorteggiati in una lista decisa dalla maggioranza parlamentare.
La politica potrà, quindi, scegliere chi inserire nella lista e orientare, così, la composizione dell'organo.
I membri laici apparterranno a un gruppo "organizzato" mentre i membri togati (i magistrati), scelti a caso, saranno soli.
Un metodo di nomina così congegnato indebolisce il CSM e lo espone alle interferenze politiche.
6. Un PM più forte e un CSM più debole: uno squilibrio pericoloso
La riforma separa il PM, lo rende più autonomo e lo rafforza, ma contemporaneamente rende il CSM dei PM sorteggiati più debole e inefficiente.
Il risultato? Un sistema meno equilibrato, dove un PM reso un "super poliziotto" non avrà un CSM forte a contrastarlo e le interferenze esterne peseranno di più.
7. La separazione delle carriere è spesso l'anticamera di un controllo politico diretto sui PM
La maggior parte dei Paesi in cui le carriere sono separate ha un PM che dipende direttamente dal Ministro della Giustizia.
L'Italia, con questa riforma, si avvia verso lo stesso modello:
un PM più vicino al potere politico e più docile nei procedimenti "scomodi".
Un arretramento per la democrazia.
8. La riforma non rende la giustizia più efficiente: la rende meno indipendente
La riforma – lo dice lo stesso Nordio – non incide sulla durata dei processi né sugli uffici giudiziari.
Non velocizza, non semplifica, non migliora.
Al contrario, divide i magistrati, crea nuove gerarchie e apre varchi alle interferenze dell'esecutivo.
Con la riforma il giudice e il PM non diventeranno più efficienti o più giusti, ma più controllabili.
9. Il potere disciplinare sui giudici passa a un organo nuovo, esterno e più permeabile
L'Alta Corte Disciplinare avrà membri in parte nominati dal Presidente della Repubblica, in parte sorteggiati fra magistrati e in parte fra personalità selezionate dal Parlamento.
Un organo così composto sarà inevitabilmente più esposto alle influenze politiche esterne.
E la minaccia di sanzioni provenienti da un soggetto percepito come "esterno" aumenterà il rischio di condizionamenti politici.
In alcuni casi i magistrati potrebbero essere giudicati da collegi composti per la maggioranza da non magistrati e, in caso di responso sfavorevole, non potranno più avvalersi, come possono fare tutti i cittadini, del controllo della Corte di Cassazione sulla legalità della sentenza.
10. Un attacco alla magistratura è sempre un attacco alla democrazia
In tutti gli Stati in cui si è verificato un arretramento delle libertà, il primo passo è stato la riduzione dell'indipendenza di giudici e PM.
Una magistratura autonoma è la difesa più solida dei diritti civili e politici.
Indebolirla significa indebolire anche la libertà dei cittadini».