Le ragioni del "No" e degli astensionisti al referendum
Centrodestra compatto, l'UDC contro l'abrogazione, singolare la posizione di Azione
venerdì 6 giugno 2025
Il centrodestra è compatto nell'invitare gli elettori a non andare a votare per non far raggiungere il quorum ai cinque quesiti referendari su cui i cittadini sono invitati ad esprimersi l'8 e 9 giugno. Una posizione comune a Fratelli d'Italia (con qualche distinguo che invita ad andare a votare ed a non ritirare le schede), a Forza Italia ed ai leghisti. Tutti i partiti dell'area attualmente al governo della nazione ribadiscono con forza come le leggi (o le parti di leggi) sul lavoro che si vogliono abrogare non sono altro che il frutto di governi di centrosinistra e che nel PD, in particolar modo, è in atto una resa dei conti tra moderati ed ex renziani ed ex comunisti più vicini alle posizioni dell'attuale segretaria Elly Schlein. Un atteggiamento - ribadiscono da mesi - che è solo propedeutico all'unico quesito che davvero interessa PD e Sinistra Italiana, vale a dire quello sul dimezzamento dei tempi per il conferimento della cittadinanza italiana a stranieri.
In sostanza per il centrodestra, quello referendario sarebbe un vero e proprio cavallo di Troia per far passare il quinto quesito e portare «circa 2 milioni e mezzo di elettori ad un centrosinistra in difficoltà ed in crisi di consensi».
Per 4 "NO" ed un solo "Sì" è invece il gruppo di Azione, che lascerebbe immutato il quadro normativo relativo ai quesiti sul lavoro, mentre sarebbe favorevole ad una cittadinanza in metà tempo, un modo per evitare rancori e radicalismi ed integrare in via definitiva persone che da anni lavorano e pagano le tasse in Italia.
Per 5 "NO" si schiera l'UDC Terlizzi.
Riportiamo ancora una volta il comunicato del gruppo centrista:
«L'8 e 9 giugno saremo chiamati a esprimerci su cinque quesiti referendari abrogativi che toccano ambiti molto diversi. Una consultazione che, al di là del merito dei singoli temi, rappresenta secondo noi un errore sul piano politico e amministrativo.
Sono temi che, per natura e complessità, spettavano al Parlamento e ai governi che si sono succeduti negli ultimi 15 anni. L'uso del referendum appare, ancora una volta, come una scorciatoia: costosa, inefficace e rischiosa, soprattutto se non viene raggiunto il quorum.
Vediamo brevemente alcuni quesiti.
Licenziamenti
Parliamo di un punto cardine del diritto del lavoro, che meriterebbe una riflessione ampia e un intervento parlamentare ponderato, non una semplice abrogazione affidata a un "sì" o un "no".
I promotori sembrano aver dimenticato che fu proprio il loro partito, con l'appoggio di buona parte dei dirigenti attuali, a sostenere la legge sul Jobs Act. Oggi, però, si ritrovano a chiedere l'abrogazione di quella stessa legge attraverso un referendum.
Cittadinanza
Il quesito mira a cancellare alcune restrizioni all'accesso alla cittadinanza italiana. Anche qui è in gioco una visione di Paese e di integrazione che va discussa nelle sedi rappresentative, non decisa con strumenti così rigidi e poco approfonditi.
In sintesi, i cinque quesiti referendari, pur toccando temi importanti, non dovevano essere affrontati con lo strumento referendario. La politica ha avuto tanti anni per discutere, riformare, decidere.
Ora si chiede ai cittadini di pronunciarsi su materie complesse, spesso tecniche, con strumenti inadatti e costi altissimi per la collettività. Un altro esempio di come la democrazia possa essere svilita da un uso distorto dei suoi strumenti più nobili».
In sostanza per il centrodestra, quello referendario sarebbe un vero e proprio cavallo di Troia per far passare il quinto quesito e portare «circa 2 milioni e mezzo di elettori ad un centrosinistra in difficoltà ed in crisi di consensi».
Per 4 "NO" ed un solo "Sì" è invece il gruppo di Azione, che lascerebbe immutato il quadro normativo relativo ai quesiti sul lavoro, mentre sarebbe favorevole ad una cittadinanza in metà tempo, un modo per evitare rancori e radicalismi ed integrare in via definitiva persone che da anni lavorano e pagano le tasse in Italia.
Per 5 "NO" si schiera l'UDC Terlizzi.
Riportiamo ancora una volta il comunicato del gruppo centrista:
«L'8 e 9 giugno saremo chiamati a esprimerci su cinque quesiti referendari abrogativi che toccano ambiti molto diversi. Una consultazione che, al di là del merito dei singoli temi, rappresenta secondo noi un errore sul piano politico e amministrativo.
Sono temi che, per natura e complessità, spettavano al Parlamento e ai governi che si sono succeduti negli ultimi 15 anni. L'uso del referendum appare, ancora una volta, come una scorciatoia: costosa, inefficace e rischiosa, soprattutto se non viene raggiunto il quorum.
Vediamo brevemente alcuni quesiti.
Licenziamenti
Parliamo di un punto cardine del diritto del lavoro, che meriterebbe una riflessione ampia e un intervento parlamentare ponderato, non una semplice abrogazione affidata a un "sì" o un "no".
I promotori sembrano aver dimenticato che fu proprio il loro partito, con l'appoggio di buona parte dei dirigenti attuali, a sostenere la legge sul Jobs Act. Oggi, però, si ritrovano a chiedere l'abrogazione di quella stessa legge attraverso un referendum.
Cittadinanza
Il quesito mira a cancellare alcune restrizioni all'accesso alla cittadinanza italiana. Anche qui è in gioco una visione di Paese e di integrazione che va discussa nelle sedi rappresentative, non decisa con strumenti così rigidi e poco approfonditi.
In sintesi, i cinque quesiti referendari, pur toccando temi importanti, non dovevano essere affrontati con lo strumento referendario. La politica ha avuto tanti anni per discutere, riformare, decidere.
Ora si chiede ai cittadini di pronunciarsi su materie complesse, spesso tecniche, con strumenti inadatti e costi altissimi per la collettività. Un altro esempio di come la democrazia possa essere svilita da un uso distorto dei suoi strumenti più nobili».