“La ‘ndrangheta è anche femmina… e non è bella”

"Le donne terlizzesi ricoprono ruoli marginali nelle famiglie criminali"

lunedì 30 maggio 2016 13.43
A cura di Vincenza Urbano
La Caritas cittadina di S. Luisa ha ospitato, presso la Pinacoteca De Napoli, lo psicologo di origini calabresi Giuseppe Laganà che ha presentato il suo libro "La 'ndrangheta è anche femmina…e non è bella". Per educare alla legalità si rende necessario conoscere i modi di agire della malavita, "La situazione terlizzese è ben monitorata: i bambini non sono intrisi nella criminalità organizzata locale, sebbene occorra tenere sempre alta la guardia per arginare il rischio", ha spiegato il giudice onorario Edgardo Bisceglia, nonché responsabile della Caritas del paese, "Le donne terlizzesi ricoprono ruoli marginali nelle famiglie criminali, sono a conoscenza dei fatti compiuti dai loro compagni, ma non sono coinvolte in prima linea nella gestione degli affari illeciti".

La fama della 'ndrangheta, e della mafia in generale, risiede nella sua capacità pervasiva di radicarsi dapprima nella propria terra di appartenenza e successivamente di espandersi altrove, attraverso una consolidata prassi intimidatoria che punta alla creazione di un clima di assoggettamento e omertà. In un simile contesto "disvaloriale", emerge la figura della donna del clan e del suo ruolo che da passivo si fa progressivamente attivo: la donna ha assunto nel tempo una tale emancipazione e autorevolezza da svincolarsi dal ruolo subalterno nei riguardi del proprio uomo, così da partecipare con una propria autonoma determinazione alle vicende che coinvolgono prettamente la parte maschile della famiglia mafiosa.

Accanto alla "femmina non bella" dei clan, Carla Spagnuolo, Pubblico Ministero presso il tribunale dei minorenni di Bari, racconta delle donne che invece scelgono di sottrarsi alle regole loro imposte e rifiutano di adempiere al loro compito di trasmettere ai figli il codice culturale mafioso, nonché di incitare alla vendetta nelle faide tra famiglie. È il caso delle collaboratrici di giustizia oppure delle donne che amano uomini non appartenenti alla loro realtà, nonostante siano legate formalmente al capo clan. Chi osa corteggiare una donna fidanzata, sposata o promessa ad un boss va incontro alla propria dipartita. Il legame dell'uomo verso la donna è principalmente di possesso, dato che essa viene considerata come esclusiva proprietà del "maschio dominante". Il controllo sulla propria donna diventa metafora dell'esercizio del potere mafioso sul territorio.

"Il testo è racchiuso in un valido e maneggevole 'instant book' che si pone come un 'motore di ricerca' sul ruolo della donna nella 'ndrangheta, quale amministratrice del sistema punitivo nella salda struttura familiare", commenta Pasquale Vitagliano, direttore amministrativo del tribunale di Trani, nonché esponente di Città Civile. È di primaria importanza, però, instaurare un dialogo disteso tra la dimensione delle sovrastrutture, dedite allo studio e alla lotta alla criminalità, e l'intimo spazio familiare. Anche alle parrocchie spetta il difficile compito di svolgere attività di supporto sociale per riconquistare il territorio nelle mani della mafia. "La Chiesa funge da stimolo, esorta la popolazione a lavorare in rete per riscattarsi dalle vessazioni della criminalità", afferma il sacerdote Francesco De Lucia, direttore della Caritas diocesana.
La 'ndrangheta è anche femmina
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