Immagini, messaggi e testimoni, «su Claudia un processo come tutti gli altri»

Lo chiede l'avvocato Maralfa, difensore dei genitori della 24enne trovata senza vita nel 2016 con un cavetto usb stretto al collo

lunedì 22 gennaio 2024 9.20
A cura di Nicola Miccione
È attesa nei prossimi giorni, dopo gli ultimi sviluppi, la decisione della giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Trani, Marina Chiddo, sulla nuova richiesta di archiviazione della Procura della Repubblica a cui si è opposta la famiglia di Claudia De Chirico, la 24enne trovata morta nel sottopasso ferroviario di Terlizzi.

La ragazza fu scoperta all'alba del 22 dicembre 2016 nel sottopasso ferroviario di Terlizzi, in via Mazzini, con un cavetto usb lungo 90 centimetri stretto attorno al collo. Un'indagine, quella sulla sua morte, che ha riservato molti colpi di scena, a cominciare dalle tre richieste di archiviazione respinte, in un'inchiesta, quella per istigazione al suicidio, in cui è indagato l'ex fidanzato, Davide Falcetta, di Molfetta, che, difeso dal legale Francesco Montingelli, ha sempre respinto gli addebiti.

Tra gli elementi di novità, c'è il ritrovamento di ben 500 messaggi WhatsApp e sms che i familiari della 24enne, attraverso le indagini condotte dall'avvocato Bepi Maralfa, hanno ascoltato e che «oltre a ridar voce a Claudia e alle sue sofferenze quando viveva, a motivo di una relazione sentimentale di convivenza, travagliata e tossica», consentono per Maralfa di «ipotizzare in alternativa al reato di istigazione al suicidio, quello di suicidio da maltrattamenti subiti in vita dalla ragazza».

Secondo il legale, inoltre, «tra le 36 ferite presenti in sede autoptica sul volto e sul corpo di Claudia, ve ne erano alcune incompatibili con la caduta della ragazza dall'auto del fidanzato la sera della morte» in un'area di servizio. Dopo la caduta, arrivò una volante della Polizia di Stato i cui agenti, ascoltati da Maralfa, «hanno entrambi dichiarato che nessuna ferita aveva Claudia al volto, il segno evidente che le ferite obiettivate in sede autoptica siano state inferte successivamente».

Secondo la famiglia, inoltre, «anche le numerose lesioni sottoascellari e quelle alle gambe non possono essere scaturite dalla caduta di Claudia dall'auto: quelle alle ginocchia, avrebbero senza dubbio provocato strappi ai pantaloni della ragazza (ma i pantaloni sequestrati sono intonsi), i lividi agli stinchi sono compatibili con calci sferrati con violenza, quelle al piede destro, infine, sono vere e proprie contusioni da corpo contundente o da schiacciamento», ha proseguito Maralfa.

Per il legale «deve celebrarsi un processo come tutti gli altri: immagini, messaggi e testimoni non possono essere cestinati» anche perché «l'ipotesi del suicidio è tutta da verificare, verosimilmente destinata a crollare di fronte a prove inoppugnabili di ferite che nessuno ha visto sino a quando Claudia è uscita dalla casa».