Il giornalista Giovanni Bianconi e il procuratore Roberto Rossi ospiti a Terlizzi

Presentazione del libro "L'assedio. Troppi nemici per Giovanni Falcone"

sabato 24 febbraio 2018 23.29
A cura di Vincenza Urbano
Ospiti d'eccezione al Mat Giovanni Bianconi, inviato del Corriere della Sera, e Roberto Rossi, procuratore aggiunto presso il tribunale di Bari, per la presentazione di "L'assedio. Troppi nemici per Giovanni Falcone", l'ultimo libro del giornalista che offre una lettura storica dei fatti avvicendatisi negli ultimi anni di vita del magistrato prima della cruentissima strage di Capaci. Presente anche l'amministrazione comunale a omaggiare la serata, nella persona dell'assessore alla cultura Lucrezia Chiapparino.

Pagina dopo pagina si coglie la drammaticità degli eventi restituendo al lettore una duplice immagine di Falcone, non solo una professionale ma anche un'altra più strettamente legata alla sua vita privata. Vittima di un infame linciaggio diretto a demolire la sua attività di magistrato inquirente, «Quando da Palermo si è trasferito a Roma, Falcone ha riscoperto alcuni piaceri della vita, come andare al cinema o al ristorante», racconta l'autore del libro, «In Sicilia non poteva nemmeno dilettarsi con la piscina perché sarebbe dovuto andare con la scorta e il che sarebbe risultato troppo ingombrante».

Più volte la figura di Falcone è stata dileggiata, con spietate accuse di manie di protagonismo per il suo continuo interfacciarsi con i mass media. Totalmente incompreso dal mondo esterno il suo modo di agire, nel tempo il suo ruolo è stato «delegittimato» per poi essere celebrato come eroe dopo la sua tragica scomparsa.

Solo successivamente si è fatto tesoro dei grandi insegnamenti trasmessi dal giudice alla magistratura grazie alla sua spiccata capacità investigativa. «Falcone lavorava senza sosta per decine di ore, studiava strategie da adattare al caso concreto», commenta il procuratore aggiunto Roberto Rossi, «una delle sue qualità più apprezzabili era quella di fare gruppo e lavorare di squadra».

Falcone, spiega Bianconi, non era affatto un narcisista, ma aveva scelto di esporsi mediaticamente perché aveva un obiettivo preciso: combattere in prima linea per spiegare a un'Italia ancora ignara quanto potesse essere pericoloso il fenomeno mafioso.

A più di venticinque anni di distanza dalla morte di Falcone, è stata finalmente spazzata via l'idea che la mafia possa restare impunita. I capi clan, infatti, sono a conoscenza del miserabile epilogo cui sono destinati: o vengono assassinati da fazioni avverse o trascorrono anni e anni in carcere. La mafia oggi si presenta per certi versi meno strutturata comportando, però, un numero maggiore di affiliazioni tra giovanissimi e il loro conseguente coinvolgimento in traffici di sostanze stupefacenti in luoghi apparentemente distanti dalla criminalità organizzata.

«Il nostro Paese può essere eroico, generoso ma anche vigliacco», asserisce Bianconi, «l'Italia deve stare all'erta. Parlamento, governo e magistratura non possono contrapporsi ma hanno il compito di camminare insieme». Tra le principali difficoltà italiane, quindi, l'inettitudine a superare le divisioni, individuare un obiettivo comune e fornire una risposta collettiva. L'unica strada da perseguire è quella di «creare una cultura antimafia, svestendo il mafioso della identità di cui si maschera per raccogliere consenso», conclude Rossi.