Festival per la legalit settembre
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Attualità

Don Lorenzo Milani al centro della due giorni del "Festival per la legalità"

Una vera e propria full immersion nella scuola di Barbiana

«Presidio, lanterna e lievito», tre parole che condensano bene la portata della scuola di Barbiana, in provincia di Firenze, ove ha operato instancabilmente Don Lorenzo Milani dal 1954 al 1967. Si è trattata di un'esperienza educativa sperimentale che all'epoca ha reso Barbiana discussa in tutto il mondo. Un'immersione totale nella vita del sacerdote pedagogo, scomparso alla giovane età di quarantaquattro anni a causa di un linfoma, è stata offerta dal secondo incontro del "Festival per la legalità" dello scorso sabato, 23 settembre.

Considerata una figura «scomoda», biasimata aspramente dalla Chiesa cattolica, Don Milani, tuttavia, indossò la tonaca fino al momento della sua dipartita: forza e coraggio trovavano linfa nei valori del Cristianesimo, sebbene gli esponenti del clero non sempre si facevano promotori nel concreto delle virtù bibliche. La persona di Don Milani è stata riabilitata soltanto di recente da Papa Francesco, circo un lustro fa, quando questi ha visitato la struttura formativa toscana, «rendendo giustizia al presbitero»: la sua «vita bruciante» era da leggersi non nell'ottica di un irrequieto, velleitario e provocatore, bensì di un sacerdote «maestro e cittadino amante della Costituzione».

Se i Vangeli sono finalizzati al riscatto degli ultimi, la Costituzione italiana è da intendersi quale «Vangelo laico che libera tutti i cittadini». Le mura di Barbiana sono intrise di insegnamenti sui diritti costituzionali, quando il sistema scolastico del dopoguerra appariva a tratti classista e divisivo. Per Don Milani le sue origini benestanti hanno rappresentato sempre un fardello, accusando un senso di colpa per non sentirsi meritevole di tali privilegi, tanto da voler condividere il sapere con le classi meno abbienti in modo da tentare di elevarle.

Con Don Milani si suole discorrere di «cultura popolare sana», la quale nasce dal connubio fra l'esperienza pastorale e quella culturale e costituzionale, alla ricerca di un equilibrio costante tra il diritto alla libertà e il dovere di solidarietà sociale. Don Milani ha scelto di «farsi carico» dei dubbi, delle ansie e dei problemi altrui, assumendo il compito di realizzare qualcosa di migliore rispetto alla situazione in cui i ragazzi più poveri versavano, così da passare da una realtà non accettabile a una visione progressista.

«Se, da un lato, il principio di uguaglianza, formale e sostanziale, di cui all'articolo 3 della Costituzione è volto a rimuovere gli ostacoli alla estrinsecazione della libertà umana, mettendo insieme le competenze di ciascuno, dall'altro lato, però, si assiste a un individualismo odierno che porta a non mettere in rete le proprie conoscenze», è l'osservazione del giudice Francesco Messina, Consigliere alla Corte d'Appello di Lecce. La quotidianità di Don Milani era alimentata dalla coscienza critica e da un pensiero profondo, attraverso un metodo connotato per certi versi dalla maieutica socratica: scendendo nel campo dei bisogni dei suoi allievi, si giunge a cogliere il senso di comunità.

È proprio l'inquietudine che indirizzò Don Milani in un cammino di continua ricerca: la consapevolezza che maturava dentro di lui giorno dopo giorno è una risposta all'ansia che talvolta lo divorava. La scuola deve instillare nei discenti il senso di appartenenza a una collettività. Sebbene la dimensione intima e individuale sia importante per coltivare un dialogo con se stessi, allo stesso tempo, tuttavia, occorre calarsi nell'atmosfera del «noi». «L'io sottolinea la percezione che si è corresponsabili, ma da soli diventa più difficile aggiungere tasselli».

A Barbiana le classi erano miste e si studiava ogni giorno, per dodici ore, tutto l'anno, in assenza di «simboli del potere», come voti e registri: la mattina era dedicata alle attività didattiche, il pomeriggio alla lettura dei giornali o alle attività sportive come il nuoto, per trasmettere a chi proveniva dai paesi di montagna a non aver paura dell'acqua. L'unico docente era Don Milani, ma egli si avvaleva dell'ausilio degli alunni più grandi che trasfondevano le nozioni acquisite in quelli più piccoli. «Il patrimonio delle conoscenze non poteva essere custodito nella sfera di un singolo scolaro, ma andava condiviso con l'intero gruppo, in modo da agevolare il processo di apprendimento e formare giovani uomini e donne votati all'altruismo e non al becero egoismo», spiega Lauro Seriacopi, professore liceale di storia e filosofia e vicepresidente della Fondazione Don Lorenzo Milani.

Dalla parte degli ultimi, in Don Milani si percepiva una spiccata umiltà: insegnava ai suoi allievi a tenere sempre presenti le origini modeste, affinché il ricordo delle difficoltà affrontate potesse fungere da sprone a prodigarsi per il prossimo in condizioni indigenti. L'esistenza di Don Milani, dunque, va contestualizzata anche in una prospettiva politica che aveva al centro dell'attenzione il diritto del lavoro. Era appellato come «prete rosso», proprio per le idee che si contrapponevano a un sistema capitalista ai suoi albori. La sua attività creava scalpore, tanto che fu finanche processato per i reati di apologia e incitamento alla diserzione e alla disobbedienza civile.

«Don Milani puntava a far salire di livello gli scolari, trasformandoli da bestie a uomini e, infine, a Santi attraverso l'uso della parola. Il concetto di "logos", ossia di parola, è assimilato al concetto di pensiero. Don Milani sollecitava il ragionamento», chiosa il magistrato Messina, «Ad oggi, invece, si scende di livello, ci si identifica con quanto sta più in basso, dando luogo a un'involuzione. Non bisogna, però, giocare al compromesso al ribasso». Attualmente, infatti, si aspira all'acquisizione del consenso agendo sulle pulsioni dei singoli: si è persa la tendenza a sviluppare dei desideri, dal momento che dilaga il godimento transeunte. Il consumismo sfrenato conduce a consumare voracemente adesso senza porsi nelle proiezioni del domani.

Fondamentale per Don Milani era consentire alle persone meno istruite di dominare il più possibile il linguaggio: puntare a farsi comprendere è il primo strumento per emanciparsi. Governare l'uso della comunicazione significa, peraltro, costruire un mondo di pace e di comprensione. «Non c'è pace se non c'è riscatto per gli ultimi. L'autorevolezza di un maestro non deriva dalla sia capacità impositiva che ha il sapore di un giudizio punitivo, ma dalla sua attitudine a gettare i semi per una dialettica tesa alla risoluzione delle problematiche», ha tenuto a evidenziare Seriacopi.

Nel contesto di impegno civile della pinacoteca De Napoli, reso possibile dagli sforzi profusi dall'associazione "È fatto giorno aps", si è inserita anche Adriana Latti, tutor del progetto "sCOOLFOOD" della Fondazione Vincenzo Casillo, la quale ha fornito interessanti chiavi di lettura sul percorso che, come insegnante, sta affrontando con i bambini. Sin da piccini, infatti, è importante educare alla cittadinanza, sottolineando, nello specifico, l'obiettivo di coinvolgere i piccoli scolari al rispetto di sé e del cibo. Si sta, inoltre, intraprendendo la via, col supporto dell'Università di Bari, del "Service learning": si vuole, cioè, creare una continuità tra le ore scolastiche e la vita privata e cittadina, affinché le lezioni espletate in classe possano tradursi in azioni e programmi di cui possa beneficiare l'intera comunità.

Riflessioni di soddisfazione sono state rilasciate anche da Daniela Zappatore, Assessora alla Cultura, intervenuta all'inizio della due giorni su Don Milani, all'interno dello spazio di "Alle S.E.R.R.E" della cooperativa sociale Zorba, quando è andata in scena la biscegliese CompagniAurea, diretta da Francesco Sinigaglia. «È doveroso parlare oggi di don Milani e non perché questo è l'anno del centenario della sua nascita, ma perché abbiamo bisogno di chi ancora ci indichi la strada. Abbiamo bisogno che la sua inquietudine scuota il nostro "quieto vivere", abbiamo bisogno della sua tenerezza. In un mondo, quello di oggi, dove tutto abbonda, non c'è spazio per la tenerezza e la gentilezza», ha dichiarato Zappatore anche in qualità di docente, «Don Milani coltivava tenerezza, ma era forte e determinato nel difendere i diritti di tutti, perché nessuno doveva rimanere indietro e a nessuno doveva essere negata, per alcun motivo, la dignità che spetta e merita ogni essere umano. Eppure tanta strada abbiamo ancora da fare».


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